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Benedetto XVI spinge l’Europa verso il futuro

…Il Veneto Serenissimo Governo, in qualità di erede e continuatore della storia, tradizioni e  cultura della Veneta Serenissima Repubblica ringrazia sua Santità per l’accorato messaggio e la sua ampiezza di vedute circa i destini del continente europeo…


«Il decalogo […] è un “sì” alla famiglia (quarto comandamento), un “sì” alla vita (quinto comandamento), un “sì” ad un amore responsabile (sesto comandamento), un “sì” alla solidarietà, alla responsabilità sociale e alla giustizia (settimo comandamento), un “sì” alla verità (ottavo comandamento) e un “sì” al rispetto delle altre persone e di ciò che ad esse appartiene (nono e decimo comandamento). […] Noi viviamo questo molteplice “sì” e al contempo lo portiamo come indicatore di percorso in questa nostra ora del mondo».
Queste parole di sua santità Benedetto XVI, pronunciate durante l’omelia della Messa di sabato 8 settembre presso il santuario di Mariazell in Austria, rappresentano un autentico faro che illumina la strada che l’Europa dovrà percorrere, pena il rinnegamento della propria storia ed identità.
Il Veneto Serenissimo Governo, in qualità di erede e continuatore della storia, tradizioni e  cultura della Veneta Serenissima Repubblica ringrazia sua Santità per l’accorato messaggio e la sua ampiezza di vedute circa i destini del continente europeo.
Il Veneto Serenissimo Governo ha da sempre ribadito che i comandamenti “sociali” del decalogo, baluardo contro nichilisti, relativisti ed islamisti di ogni risma, saranno alla base della legislazione della ricostituita Veneta Serenissima Repubblica.
Il Veneto Serenissimo Governo ricorda altresì che proprio in Austria, a Vienna, il 12 settembre 1683 le truppe ottomane furono fermate e con esse l’islamizzazione forzata del continente.In tale storica vittoria determinante fu il ruolo di Beato Marco d’Aviano che, con la sua intercessione spirituale, infuse le giuste motivazioni che resero possibile tale fondamentale impresa bellica.
Il Veneto Serenissimo Governo dichiara che pure oggi l’Europa è accerchiata. Questa volta è presente una quinta colonna di bande armate di terroristi islamisti (vedi gli attentati di Berlino, Madrid, Londra, Roma, ecc.), oggettivamente coperti e aiutati dal nichilismo, relativismo, dal pressappochismo e dalla sindrome di Stoccolma: tutto ciò va fronteggiato  anche con le armi indicate da Benedetto XVI.
Venezia, 9 settembre ‘07

Per il Veneto Serenissimo Governo
Il responsabile delle questioni religiose
Andrea Bonesso



Salviamo i cristiani

Roma 4 Luglio 2007 Piazza SS Apostoli ore 21:00

Appello per una "Manifestazione nazionale contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo "

 

Dopo aver ascoltato e fatto nostro l’ "accorato appello" del Papa Benedetto XVI ad agire per porre fine alle "critiche condizioni in cui si trovano le comunità cristiane", abbiamo deciso di promuovere una "Manifestazione nazionale contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente , per la libertà religiosa nel mondo". Noi non possiamo più continuare ad assistere inermi alle barbarie che stanno costringendo milioni di cristiani negli Stati arabi, musulmani e altrove nel mondo a fuggire dalle loro case e dai loro paesi. Al contempo noi denunciamo le violenze contro i religiosi e i fedeli cristiani che pagano con la vita l’impegno e la fedeltà a testimoniare la propria fede. La presenza dei cristiani si va assottigliando sempre più: dalla prima guerra mondiale circa 10 milioni di cristiani sono stati costretti a emigrare dal Medio Oriente. Una fuga simile alla cacciata degli ebrei sefarditi che, da un milione prima della nascita dello Stato di Israele, si sono ridotti a 5 mila. Invitiamo pertanto tutti gli uomini di buona volontà , al di là della loro fede, etnia e cultura, partecipare alla manifestazione nazionale che si terrà mercoledì 4 luglio a Piazza Santi Apostoli a Roma alle ore 21. Sarà una grande manifestazione per la vita, la dignità e la libertà dei cristiani e per il riscatto dell’insieme della nostra civiltà umana.

Per aderire all’appello e alla manifestazione inviare email agli indirizzi info@salviamoicristiani.com o salviamoicristiani@gmail.com oppure telefonando al numero 338 7113421




Il sangue dei cristiani grida e svela i misfatti degli islamisti

…I martiri cristiani sono coloro che, davanti alla possibilità di una morte violenta o ingiusta, non rinnegano la loro fede, seguendo così fino in fondo il loro Signore Gesù.
I cristiani, infatti, adorano il Dio della vita, non sono idolatri della vita stessa…

E´ trascorso quasi un mese dal barbaro assassinio, avvenuto in Iraq nella città di Mossul, di padre Raghed Ganni e di tre diaconi. Un commando di terroristi islamisti costringe i quattro a dichiararsi musulmani, essi si rifiutano in modo categorico e vengono freddati sul posto con scariche di pallottole. Questo appena descritto è soltanto l’ultimo di una serie di episodi che ha coinvolto cristiani residenti in tutta l’area del vicino Oriente. Si tratta di martiri, nell’accezione cristiana più autentica di "testimone della fede".
I martiri cristiani sono coloro che, davanti alla possibilità di una morte violenta o ingiusta, non rinnegano la loro fede, seguendo così fino in fondo il loro Signore Gesù.
I cristiani, infatti, adorano il Dio della vita, non sono idolatri della vita stessa.
E´ appena il caso di ricordare ai distratti di turno che il martirio è la rinuncia alla vita in nome di valori ritenuti assoluti e fondanti quali fede, verità, amore, libertà e giustizia. Per questa ragione, nella tradizione cristiana, il giorno della morte di un martire è sempre stato considerato come il dies natalis, il giorno della vera nascita.
Il senso cristiano del martirio è agli antipodi di quello proposto dagli islamisti, superficiali interpreti del Corano e dei detti di Maometto. I terroristi identificano il martire con l’attentatore suicida che, facendosi esplodere, causa il maggior numero possibile di vittime innocenti al grido, che è bestemmia, di "Allah è grande".
Davanti alla montante marea islamista è doveroso far memoria di tutti i credenti in Cristo che, in ogni angolo del globo ma soprattutto nella regione del Corno d’Africa, hanno opposto resistenza pacifica non violenta alla furia omicida islamista; fino al sacrificio della propria vita per difendere fede, valori e libertà di religione, primo ed intoccabile diritto di ogni essere umano.
Questi fulgidi esempi di coerenza siano modello per le troppe tiepide comunità cristiane, ricordando il monito di Tertulliano, scrittore del III sec. d.C., per il quale "sanguis martyrum semen Christianorum", il sangue dei martiri è seme di altri cristiani.
Per questo motivo il Veneto Serenissimo Governo, in quanto erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica porge l’invito a sua Santità, Benedetto XVI, a considerare la possibilità di riconoscere ufficialmente tutti i martiri cristiani che, a prezzo della loro esistenza, hanno testimoniato fino in fondo la fedeltà al Vangelo.
Padre Ganni si domandava, qualche giorno prima di essere assassinato, quale futuro ci fosse per la Chiesa in Iraq. Ebbene, dopo la sua esecuzione, il consiglio degli ulema sunniti ("eruditi", guide delle comunità) in un comunicato ufficiale non ha trovato di meglio da fare che accusare del delitto le "forze di occupazione ed il governo", senza alcuna forma di autocritica o riflessione sulla non-violenza.
Pertanto, in considerazione dell’evolversi dello scenario internazionale, il Veneto Serenissimo Governo ribadisce la necessità di un riconoscimento pubblico di tutti i martiri cristiani, veri modelli di fedeltà evangelica e testimoni di valori universali, sulla scia di

Marcantonio Bragadin e degli altri Veneti Eroi di ogni tempo.    

 Venezia, 26 giugno `07

 Per il Veneto Serenissimo Governo
Il sottosegretario agli affari esteri
Responsabile per il corno d’Africa ed il vicino Oriente
Andrea Bonesso




La Veneta Serenissima Repubblica e la laicità  dello Stato

Il Veneto Serenissimo Governo ritiene che sia necessario fondare il proprio progetto e la propria azione su quei grandi valori legati alla religione giuidaico-cristiana, espressi anche nella seconda parte delle “tavole della Legge” e noti come “comandamenti di tipo sociale”.
Risponde a questa scelta, oltre la solidità di tali insegnamenti, anche la costante determinazione di collocarsi nella storia e cultura europee nonché marciane.
Il Veneto Serenissimo Governo conferma che soltanto su quella base è possibile garantire un futuro per le genti venete, ma pure per ogni popolo che aspiri ad essere veramente libero.

a cura di Andrea Bonesso

San Marco Evangelista

25 aprile
 
sec. I
 
Ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sé nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. Oltre alla familiarità con san Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l’apostolo Paolo, che incontrò nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la colletta della comunità di Antiochia. Al ritorno, Barnaba portò con sé il giovane nipote Marco, che più tardi si troverà al fianco di san Paolo a Roma. Nel 66 san Paolo ci dà l’ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: «Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi». L’evangelista probabilmente morì nel 68, di morte naturale, secondo una relazione, o secondo un’altra come martire, ad Alessandria d’Egitto. Gli Atti di Marco (IV secolo) riferiscono che il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Secondo una leggenda due mercanti veneziani avrebbero portato il corpo nell’828 nella città della Venezia. (Avvenire)
 
Patronato:Segretarie
 
Etimologia:Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latino

Emblema:Leone

 
 

La figura dell’evangelista Marco, è conosciuta soltanto da quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di s. Pietro e s. Paolo; non fu certamente un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se qualche studioso lo identifica con il ragazzo, che secondo il Vangelo di Marco, seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo; i soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo nelle loro mani.
Quel ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli ulivi.
Nella grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale “mio figlio”.
 
Discepolo degli Apostoli e martirio
 
Nel 44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in quella casa; Marco il cui vero nome era Giovanni usato per i suoi connazionali ebrei, mentre il nome Marco lo era per presentarsi nel mondo greco-romano, ascoltava i racconti di Paolo e Barnaba sulla diffusione del Vangelo ad Antiochia e quando questi vollero ritornarci, li accompagnò.
Fu con loro nel primo viaggio apostolico fino a Cipro, ma quando questi decisero di raggiungere Antiochia, attraverso una regione inospitale e paludosa sulle montagne del Tauro, Giovanni Marco rinunciò spaventato dalle difficoltà e se ne tornò a Gerusalemme.
Cinque anni dopo, nel 49, Paolo e Barnaba ritornarono a Gerusalemme per difendere i Gentili convertiti, ai quali i giudei cristiani volevano imporre la legge mosaica, per poter ricevere il battesimo.
Ancora ospitati dalla vedova Maria, rividero Marco, che desideroso di rifarsi della figuraccia, volle seguirli di nuovo ad Antiochia; quando i due prepararono un nuovo viaggio apostolico, Paolo non fidandosi, non lo volle con sé e scelse un altro discepolo, Sila e si recò in Asia Minore, mentre Barnaba si spostò a Cipro con Marco.
In seguito il giovane deve aver conquistato la fiducia degli apostoli, perché nel 60, nella sua prima lettera da Roma, Pietro salutando i cristiani dell’Asia Minore, invia anche i saluti di Marco; egli divenne anche fedele collaboratore di Paolo e non esitò di seguirlo a Roma, dove nel 61 risulta che Paolo era prigioniero in attesa di giudizio, l’apostolo parlò di lui, inviando i suoi saluti e quelli di “Marco, il nipote di Barnaba” ai Colossesi; e a Timoteo chiese nella sua seconda lettera da Roma, di raggiungerlo portando con sé Marco “perché mi sarà utile per il ministero”.
Forse Marco giunse in tempo per assistere al martirio di Paolo, ma certamente rimase nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma. Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco trascrisse, secondo la tradizione, la narrazione evangelica di Pietro, senza elaborarla o adattarla a uno schema personale, cosicché il suo Vangelo ha la scioltezza, la vivacità e anche la rudezza di un racconto popolare.
Affermatosi solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò in un primo momento il suo discepolo e segretario, ad evangelizzare l’Italia settentrionale; ad Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città e dopo averlo lasciato, s’imbarcò e fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove si addormentò e sognò un angelo che lo salutò: “Pax tibi Marce evangelista meus” e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Secondo un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria d’Egitto, qui Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo.
Nella zona di Alessandria subì il martirio, sotto l’imperatore Traiano (53-117); fu torturato, legato con funi e trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità; lacerato dalle pietre, il suo corpo era tutta una ferita sanguinante.
Dopo una notte in carcere, dove venne confortato da un angelo, Marco fu trascinato di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli “Atti di Marco” all’età di 57 anni; ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo, ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così ad alcuni cristiani, di recuperare il corpo e seppellirlo a Bucoli in una grotta; da lì nel V secolo fu traslato nella zona del Canopo.

Il Vangelo
 
Il Vangelo di Marco è stato il primo ad essere scritto, probabilmente tra il 50 e il 65 d.C. Esso presenta uno stile semplice ed utilizza un linguaggio facilmente comprensibile, con prevalenza di strutture paratattiche, tipiche della lingua parlata del tempo.
Secon
do la tradizione, Marco fu collaboratore di Pietro, di cui avrebbe riportato per iscritto la catechesi.
Lo schema dell’opera è comune a quello degli altri due sinottici, Matteo e Luca: attività di Giovanni il Battista, ministero di Gesù in Galilea, ministero in Giudea e a Gerusalemme, passione morte e resurrezione.
 
Le vicende delle sue reliquie – Patrono di Venezia
 
La chiesa costruita al Canopo di Alessandria, che custodiva le sue reliquie, fu incendiata nel 644 dagli arabi e ricostruita in seguito dai patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680), e Giovanni di Samanhud (680-689).
E in questo luogo nell’828, approdarono i due mercanti veneziani Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, che s’impadronirono delle reliquie dell’Evangelista minacciate dagli arabi, trasferendole a Venezia, dove giunsero il 31 gennaio 828, superando il controllo degli arabi, una tempesta e l’arenarsi su una secca.
Le reliquie furono accolte con grande onore dal doge Giustiniano Partecipazio, figlio e successore del primo doge delle Isole di Rialto, Agnello; e riposte provvisoriamente in una piccola cappella, luogo oggi identificato dove si trova il tesoro di San Marco.
Iniziò la costruzione di una basilica, che fu portata a termine nell’832 dal fratello Giovanni suo successore; Dante nel suo memorabile poema scrisse. “Cielo e mare vi posero mano”, ed effettivamente la Basilica di San Marco è un prodigio di marmi e d’oro al confine dell’arte.
Ma la splendida Basilica ebbe pure i suoi guai, essa andò distrutta una prima volta da un incendio nel 976, provocato dal popolo in rivolta contro il doge Candiano IV (959-976) che lì si era rifugiato insieme al figlio; in quell’occasione fu distrutto anche il vicino Palazzo Ducale.
Nel 976-978, il doge Pietro Orseolo I il Santo, ristrutturò a sue spese sia il Palazzo che la Basilica; l’attuale ‘Terza San Marco’ fu iniziata invece nel 1063, per volontà del doge Domenico I Contarini e completata nei mosaici e marmi dal doge suo successore, Domenico Selvo (1071-1084).
La Basilica fu consacrata nel 1094, quando era doge Vitale Falier; ma già nel 1071 s. Marco fu scelto come titolare della Basilica e Patrono principale della Serenissima, al posto di s. Teodoro, che fino all’XI secolo era il patrono e l’unico santo militare venerato dappertutto.
Le due colonne monolitiche poste tra il molo e la piazzetta, portano sulla sommità rispettivamente l’alato Leone di S. Marco e il santo guerriero Teodoro, che uccide un drago simile ad un coccodrillo.
La cerimonia della dedicazione e consacrazione della Basilica, avvenuta il 25 aprile 1094, fu preceduta da un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, delle quali non si conosceva più l’ubicazione.
Dopo la Messa celebrata dal vescovo, si spezzò il marmo di rivestimento di un pilastro della navata destra, a lato dell’ambone e comparve la cassetta contenente le reliquie, mentre un profumo dolcissimo si spargeva per la Basilica. Venezia restò indissolubilmente legata al suo Santo patrono, il cui simbolo di evangelista, il leone alato che artiglia un libro con la già citata scritta: “Pax tibi Marce evangelista meus”, divenne lo stemma della Serenissima, che per secoli fu posto in ogni angolo della città ed elevato in ogni luogo dove portò il suo dominio.
San Marco è patrono dei notai, degli scrivani, dei vetrai, dei pittori su vetro, degli ottici; la sua festa è il 25 aprile, data che ha fatto fiorire una quantità di detti e proverbi. 

 

Inno a San Marco

Sia eterna, Venezia mia: o immortali dimore
Della giustizia sublime, dell’onore benedetto!
Terra lucente ed eccelsa, scelta dal signore
Come perenne santuario per il suo prediletto:
Marco, santo intrepido, il nostro difensore.

Lodi a te, San Marco, patrono venerato!
Con noi nella grandezza; con noi nella tribolazione
Di questo gioioso gravoso… tu, un tempo perseguitato,
guidaci sul percorso della liberazione.

Tu che oggi dimori accanto al trono del divino
Il tuo popolo non ha mai dimenticato.
Mostra ai tuoi figli il glorioso cammino
Verso la libertà che i tiranni hanno strappato
Dai legittimi cittadini di questa nazione.

Invano gli oppressori di stirpe vilissima
calpestano i nostri diritti, godono di nostro pianto.
Sono polvere nel vento. Eterna è la Serenissima!
Eterno sei tu, o Marco, nostro amatissimo santo!
Guidaci al trionfo! Rinvigorisci la nostra Patria!

Lodi a te, San Marco, santo sereno e audace:
conciliatore, paladino dell’emancipazione.
Con noi nella giusta battaglia, come in tempo di pace…
Con noi nella rinascita e nella risurrezione.

Maria Fasolo
 

IL CONCETTO DI LAICITA’

La nascita e lo sviluppo del termine “laico”.
Il termine “laico”, insieme ai vocaboli collegati, ha alle spalle una storia ricca nonché curiosa.
Nei primi secoli del cristianesimo indicava il battezzato che apparteneva alla Chiesa. I cristiani, infatti, si definivano “il popolo di Dio” (o laòs tou Theou, in greco, la parola “laòs” significa appunto popolo).
In seguito, con il progressivo differenziarsi dei ruoli nella Chiesa, acquistano sempre maggiore importanza i battezzati insigniti anche del sacramento dell’ordine sacro. Lentamente si forma una gerarchia, denominata “clero”.
Nel periodo medievale tutto il potere e la cultura sono saldamente nelle mani del clero; proprio in questa fase la parola “laico” comincia ad essere sinonimo di illetterato, popolano dai costumi poco raffinati.
Con la società ormai tutta cristiana, si arriva ad affermare che “duo sunt genera christianorum: clerici et idiotes” (decretum Gratiani, 1140). Quest’ultimo appellativo è utilizzato per indicare i cristiani laici, cioè i semplici battezzati che vivono la loro fede nelle ordinarie condizioni di vita.
La riforma luterana (XVI sec.) ha avuto il merito di rivalutare, dal punto di vista teologico ed ecclesiale, il cosiddetto “sacerdozio comune dei fedeli”, liberando il laico cristiano dall’essere un semplice esecutore delle direttive della gerarchia ecclesiastica e rivalutando gli impegni conseguenti al battesimo.
In questo modo inizia una rinnovata, almeno nelle Chiese della riforma, presenza laicale ed il termine viene liberato dall’accezione negativa che aveva assunto.

Una novità radicale: la rivoluzione francese.

Gli eventi del 1789, preparati dal pensiero liberale ed illuminista, segnano una svolta nella comprensione di chi sia “laico”.
Il termine, nato nel cristianesimo, per una strana eterogenesi dei fini assume un significato di opposizione a questa fede e finisce per indicare, in modo da opporsi al clero legato all’ancien regime da abbattere, chi non si riconosce nelle Chiese cristiane.
Nel corso del XIX sec., poi, si riveste di significati chiaramente anticristiani, antiecclesiali ed anticlericali. Con la nascita degli stati nazionali, l’espressione “stato laico”, in Europa, indica un sistema statale neutrale e perfino indifferente nei confronti del cristianesimo. Portando alle estreme conseguenze
la riflessione illuminista, si può affermare che la religione, depurata dai suoi aspetti dogmatici e soprannaturali, viene relegata nell’ambito della sfera privata della vita della persona e serve soltanto come orientamento nelle scelte del singolo in materia morale.  Questo approccio è chiaramente presente nell’opera di I. Kant “La religione nei limiti della ragione” .

Se quelle esposte sono le caratteristiche dell’illuminismo francese diffusosi anche in Spagna e nella penisola italiana, ben diverso è l’illuminismo di stampo anglosassone e, segnatamente, americano.
In questo contesto la religione (il cristianesimo) continua ad avere un ruolo pubblico, nei termini di “religione civile”. Essa, più che esperienza di fede, diventa fondamento di valori condivisi. Emblematico, in questo senso, è quanto riportato sulle banconote americane: “In God we trust”, “ci uniamo in Dio”.

La situazione attuale.

Il panorama odierno vede la compresenza di interpretazioni diverse del concetto di laicità.
Non vi è dubbio alcuno sul fatto che la distinzione tra religione e società o religione e stato sia da ascrivere al celebre detto di Cristo “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”  (Mc. 12,17 e parr.). Pertanto è il cristianesimo che ha desacralizzato l’autorità politica e ne ridimensionato funzioni e potere. Già nella cultura ebraica prima di Cristo, tuttavia, il sovrano non era un despota assoluto o l’emanazione degli dei immortali, ma doveva ispirarsi, nel suo agire, alla legge divina (i cosiddetti dieci comandamenti).
Pertanto, si può concludere che è proprio della religione giudaico-cristiana distinguere fede e politica nonché limitare l’invadenza delle strutture statuali.
Un regime totalitario è incompatibile con la fede giudaico-cristiana.

La condizione di laicità è, quindi, il riconoscimento della distinzione dei piani religioso e socio-politico nonché della loro autonomia, cioè del fatto che hanno leggi e finalità proprie.
Si è parlato di “distinzione” e non “separazione”. Questo significa che ogni legge dello stato, per l’ebreo e il cristiano, deve essere sottoposta al vaglio della propria coscienza credente.
Ma vuol dire pure che il credente può tranquillamente rendere pubbliche le convinzioni personali derivanti dalla fede che abbraccia.
Questa possibilità è negata dai neoilluministi europei che vorrebbero ricacciare la religione nel privato, divenendo così sostenitori del laicismo.
E’ palese che un sistema democratico maturo deve consentire il libero ed argomentato confronto di diverse visioni della vita e del mondo, pena il tradimento dei presupposti di tolleranza e libertà di espressione che garantisce.

Le visioni del mondo che ispirano anche i progetti politici possono derivare da concezioni religiose.
E’ innegabile che alcuni valori di fondo della tradizione giudaico-cristiana abbiano contraddistinto ed influenzato la cultura europea: pensiamo, fra gli altri, al diritto alla vita, alla dignità della persona ed alla solidarietà nei confronti dei più deboli.
Posizione del Veneto Serenissimo Governo.

Il Veneto Serenissimo Governo ritiene che sia necessario fondare il proprio progetto e la propria azione su quei grandi valori legati alla religione giuidaico-cristiana, espressi anche nella seconda parte delle “tavole della Legge” e noti come “comandamenti di tipo sociale”.
Risponde a questa scelta, oltre la solidità di tali insegnamenti, anche la costante determinazione di collocarsi nella storia e cultura europee nonché marciane.
Il Veneto Serenissimo Governo conferma che soltanto su quella base è possibile garantire un futuro per le genti venete, ma pure per ogni popolo che aspiri ad essere veramente libero.

IL DECALOGO
“Le leggi che presiederanno ai rapporti sociali  e all’ordinamento giuridico della Veneta Serenissima Repubblica sono:
–         onora il padre e la madre,
–         non uccidere,
–         non commettere atti impuri,
–         non rubare,
–         non dire falsa testimonianza,
–         non desiderare la donna d’altri,
–         non desiderare la roba d’altri.”
(da PERONI L., Appello al Popolo Veneto per la liberazione della Veneta Patria, tesi n.11 2006, p. 9.)

Il decalogo biblico, sicuramente uno dei passi più noti di tutta la Scrittura giudaico-cristiana, compare in due redazioni: Es 20, 1-17 e Dt 5,6-21. Le due versioni differiscono per la motivazione circa l’osservanza del riposo sabbatico e per alcuni vocaboli.
Esso, pur presentando analogie con disposizioni giuridico-morali di culture coeve, è stato formulato all’interno della fede giudaica. Pertanto la sua comprensione più autentica si ha facendo riferimento alla rivelazione biblica. Il contesto per apprezzarlo compiutamente è quello dell’alleanza o patto (berìt) tra Dio ed il suo popolo.
Le dieci parole, meglio note come dieci comandamenti, vengono di solito divise in due gruppi: quelle riguardanti Dio ed il suo culto (prime tre) e le restanti sette aventi come oggetto la vita di relazione.
In realtà separare i due gruppi è una forzatura; infatti, pure i comandamenti di natura “sociale” sono rivolti ad una comunità di persone credenti. Il loro oggetto è sempre la stessa fede nell’unico Dio, vissuta, però, nei rapporti interpersonali.
I precetti vanno letti e vissuti sullo sfondo dell’esperienza di liberazione e libertà costituita dall’esodo dall’Egitto; essi sono un forte orientamento per consentire alle persone di continuare ad essere e vivere in libertà.
L’avvento del cristianesimo ha portato ha compimento il contenuto delle dieci parole.
Cristo rilegge i comandamenti nella mirabile sintesi di amore di Dio e del prossimo (Mc 12,29-31 e parr.).
“Onora il padre e la madre”
La vita, data da Dio, è trasmessa dai genitori. Il verbo ebraico “kabed” contiene l’idea di peso, pertanto “onora” si può tradurre con “dà tutta l’importanza”. Nell’ambito dei precetti che si riferiscono al prossimo, si potrebbe affermare che i genitori sono il primo prossimo. Di essi bisogna prendersi cura per tutta la vita. I genitori sono in modo speciale “immagine di Dio” che è Padre (Os 11,1-4; Is 1,2; Ger 3,19) ed ha un cuore di madre (Is 49,15; Ger 31,20). Nel mondo biblico la storia è data dal susseguirsi delle generazioni (si pensi alla lunga serie di genealogie nel libro della Genesi); la tradizione è un concetto fondamentale, alla cui base vi è la trasmissione della vita, che avviene in famiglia.
“Non uccidere”
Ancora la vita e la sua protezione sono oggetto di attenzione. Il verbo utilizzato, “ratsach”, indica la morte o l’assassinio di un
nemico personale, ma fuori da operazioni belliche. Si tratta, quindi, della morte inflitta illegalmente, la morte che contraddice la vita comunitaria del popolo. Tuttavia non uccidere non significa soltanto lasciar vivere, ma pure non lasciar morire quando si dispone della vita degli altri: “Sacrifica un figlio davanti al proprio padre chi offre un sacrificio con i beni dei poveri. Il pane dei bisognosi è la vita dei poveri, toglierlo a loro è commettere un assassinio. Uccide il prossimo chi toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio.” (Sir 34,20-22)
“Non commettere atti impuri”
 Anche questo comandamento è ordinato alla difesa ed alla propagazione della vita. Il matrimonio implica fedeltà reciproca degli sposi; non solo perché continui ad esistere la famiglia, senza la quale i figli non sarebbero sicuri di vivere, ma perché l’unione coniugale nasce dall’amore e l’amore è sempre fedele. Il matrimonio, nella Bibbia, è sempre visto in relazione all’alleanza Dio-popolo (Os 1-2;11-14). L’infedeltà d’Israele al patto con il Signore è vista come adulterio.
“Non rubare”
Pure questo precetto concerne il tema della tutela della vita; infatti, quanto ciascuno possiede è necessità o fattore di vita. Non retribuire adeguatamente l’operaio è anche un furto, così come l’oppressione della povera gente ad opera dei potenti di turno. Il principio basilare è enunciato in Lv 25,23 dove il Signore afferma che “la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini”. L’uomo è chiamato ad amministrarla con equità.
“Non dire falsa testimonianza”
Il verbo “anah” indica “prendere pubblicamente la parola” ma anche “rispondere davanti ad un tribunale”. Tuttavia il concetto di falso testimone è vicino a quello di menzogna, che compromette la vita degli altri. Il precetto non condanna direttamente la menzogna, da un lato perché la falsa testimonianza ne è il caso più grave e, dall’altro, in quanto l’esempio concreto risulta più incisivo di una sentenza generale. E’ legittimo, pertanto, rilevare come oggetto di condanna sia la menzogna in generale.
“Non desiderare…”

Nella versione originale del decalogo i due comandamenti che la tradizione catechistica della Chiesa Cattolica ha diviso, sono uniti e riguardano le intenzioni profonde del soggetto e non singoli atti come gli altri. Il significato si coglie ricordando che, nella redazione del decalogo presente nel libro del Deuteronomio (Dt 5,21) il verbo “hitawah” vuol dire “desiderare” nel senso di disposizione interiore cui non necessariamente segue un atto. Quindi l’attenzione è centrata sul cuore delle persone. E’ la volontà che non deve essere schiava di istinti e passioni. Senza dimenticare che la cupidigia si alimenta anche con il contatto con gli altri: ciò che viene oggi definito come influenza dell’ambiente sul singolo.
Questo precetto tutela la libertà interiore dell’uomo.

Perché questa scelta ?
Porre come fondamento delle future leggi della
Veneta Serenissima Repubblica la seconda parte delle “dieci parole”, comporta inequivocabilmente schierarsi dalla parte della vita e della libertà.
Il Veneto Serenissimo Governo, con questa scelta, intende solennemente onorare l’apporto della cultura giudaico-cristiana alla definizione dell’identità europea e veneta nonché considerarne l’importanza in vista della formazione di persone libere e amanti della vita.

A PADRE MARCO
PATRONO DEL VENETO SERENISSIMO GOVERNO


Beato Marco

Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, tradizioni e cultura della Veneta

Serenissima Repubblica, in questo momento di grave pericolo per la nostra Civiltà, Cristianità, la

nostra Storia e Cultura, memori del fatto che Tu con la Tua preghiera e il Tuo esempio salvasti

l’Europa Cristiana e la tua Serenissima Patria dal flagello ottomano

guidaci

per impedire che le basiliche di San Pietro, di San Marco e gli altri luoghi a noi sacri siano

trasformati in “scuderie”.

Il Veneto Serenissimo Governo Ti affida la propria mente, la propria energia, la propria vita, per la

difesa degli stessi valori che Tu salvasti a Vienna, a Buda, a Belgrado.

Beato Marco proteggici e guidaci lungo la difficile strada.

Intercedi e invoca per noi, indegni, l’aiuto di Dio, della Vergine Maria, di San Gabriele Arcangelo.

“Io credo, io credo fermamente, Dio mio, io credo fermamente, fermamente”.




LA FAMIGLIA: UNA STORIA CHE VIENE DA LONTANO

Il breve excursus storico ha permesso di evidenziare l’antichità del concetto di famiglia. Essa assume il significato profondo, quasi tendenza innata nell’essere umano, di relazione stabile tra persone di sesso diverso. In questo senso si può parlare di “società naturale”. Oggi, da più parti, si ignora tutto questo e si preferisce parlare di costruzione artificiale, legata ad una particolare cultura, che ognuno può smontare e rimontare a piacimento.


Secondo un consolidato pregiudizio ottocentesco la famiglia cosiddetta tradizionale, formata da uomo e donna ed eventuali figli, sarebbe un portato del cristianesimo.
Nulla di più sbagliato: numerose sono, infatti, le civiltà antiche che hanno inteso la famiglia come unione monogamica tra uomo e donna.
Nelle incisioni rupestri della Val Canonica, ad esempio, figurano un uomo ed una donna con i loro bambini: si tratta di una famiglia di 5000 anni fa!
Ma c’è di più: i due adulti sono raffigurati con i piedi uniti da un filo, quasi a simboleggiare la stabilità del legame matrimoniale.
Lo studio delle raffigurazioni odierne dei gruppi di aborigeni australiani, culturalmente fermi al paleolitico (circa 40.000 anni fa), conferma quanto esposto. Gli spiriti ancestrali raffigurati sono sempre in coppia, maschio e femmina. Non è un mistero che per quelle popolazioni le realtà terrene devono riprendere quelle soprannaturali, quindi uomo e donna sposi. 
Si potrebbero citare tanti altri esempi per dimostrare che, per l’umanità, famiglia significa unione stabile tra uomo e donna.
Pensiamo al meraviglioso “sarcofago degli sposi” etrusco dove il defunto è legato per l’eternità alla propria moglie. Oppure alle tante lapidi funerarie romane in cui figurano il pater familias, la moglie e i figli: una famiglia stabile anche post mortem.
Certamente affermare che la famiglia è documentabile in tutte le civiltà del passato non significa negare l’esistenza di altri tipi di unione o costumi sessuali; tuttavia questi non erano mai paragonati a quella.
Il matrimonio quale unione sacra

In nessuna epoca o civiltà del passato esiste un “matrimonio civile”. Tutti i riti che ratificano l’unione di un uomo ed una donna hanno carattere religioso, a conferma della sacralità del matrimonio monogamico eterosessuale.
Un esempio, tra i tanti, è l’immagine svedese della fine del secondo millennio a.C. che rappresenta al coppia che si bacia al momento del congiungimento, mentre il dio Thor tiene un’ascia sopra le loro teste: la divinità, nel rituale vichingo, benedice l’unione fra uomo e donna.

Il matrimonio nella tradizione ebraico-cristiana


Superfluo ricordare i numerosissimi passi delle Scritture in cui emerge la solidità e l’importanza dell’unione familiare stabile; essa è anche assunta a modello del rapporto Dio-popolo dal profeta Osea (cf. omonimo libro).
Cristo si inserisce perfettamente in questa linea con la novità radicale costituita da rifiuto del divorzio: in una società dove si discuteva quali erano i motivi validi per cui il marito poteva abbandonare la moglie, Gesù di Nazaret propone l’indissolubilità del vincolo nuziale.
La famiglia come realtà “naturale”

Il breve excursus storico ha permesso di evidenziare l’antichità del concetto di famiglia. Essa assume il significato profondo, quasi tendenza innata nell’essere umano, di relazione stabile tra persone di sesso diverso. In questo senso si può parlare di “società naturale”. Oggi, da più parti, si ignora tutto questo e si preferisce parlare di costruzione artificiale, legata ad una particolare cultura, che ognuno può smontare e rimontare a piacimento.
Gli attacchi odierni alla famiglia
Gli attuali tentativi di affossare l’istituzione familiare sono il risultato di quella cultura radical-individualista, in voga da oltre due secoli, che considera l’individuo, in astratto, completamente slegato dai suoi legami sociali e portatore di desideri che lo stato deve riconoscere quali diritti. L’idea di base consiste nel collegare la felicità del singolo con la rottura di ogni relazione con gli altri. L’obiettivo, a medio-lungo termine, dei vari progetti di legalizzazione delle cosiddette “coppie di fatto” mira a “rendere stabile la precarietà”, assecondando i capricci del singolo, e a considerare indifferente all’identità sessuale il matrimonio.
Perché difendere la famiglia ?


Il Veneto Serenissimo Governo considera la famiglia fondata sul matrimonio monogamico eterosessuale, la prima ed insostituibile forma di comunità umana, nella quale si sviluppano la protezione, il senso di appartenenza, l’accoglienza ed il rispetto della diversità, lo star bene insieme ed un idoneo ambiente per la crescita dei figli.
Pertanto, difendere questa istituzione significa ribadire il proprio assenso ad una cultura a difesa della vita e sostenere l’architrave della società civile nel confronto con il gretto individualismo.
 

Per il Veneto Serenissimo Governo
Andrea Bonesso



San Marco Evangelista

Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della cultura, della storia e delle tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, augura a tutti i Veneti in patria ed all’estero un buon 25 aprile in onore del loro S. patrono S. Marco Evangelista.

In questo momento di grave crisi identitaria della nostra società , tutti i veneti devono unirsi  per la lotta contro l’oscurantismo totalitario del terrorismo internazionale che minaccia i nostri valori di libertà, adottando come simbolo il leone marciano autentico collante dei nostri antenati che lottarono con vero spirito patriottico contro tutte le intolleranze per una società ed una repubblica in grado di soddisfare criteri di uguaglianza e timocrazia senza pari nella storia.

W S. MARCO EVANGELISTA E MARTIRE DI TUTTI GLI UOMINI LIBERI

San Marco Evangelista
25 aprile
 
sec. I
 
Ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sé nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. Oltre alla familiarità con san Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l’apostolo Paolo, che incontrò nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la colletta della comunità di Antiochia. Al ritorno, Barnaba portò con sé il giovane nipote Marco, che più tardi si troverà al fianco di san Paolo a Roma. Nel 66 san Paolo ci dà l’ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: «Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi». L’evangelista probabilmente morì nel 68, di morte naturale, secondo una relazione, o secondo un’altra come martire, ad Alessandria d’Egitto. Gli Atti di Marco (IV secolo) riferiscono che il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Secondo una leggenda due mercanti veneziani avrebbero portato il corpo nell’828 nella città della Venezia. (Avvenire)
 
Patronato:Segretarie
 
Etimologia:Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latino

Emblema:Leone

 
 

La figura dell’evangelista Marco, è conosciuta soltanto da quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di s. Pietro e s. Paolo; non fu certamente un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se qualche studioso lo identifica con il ragazzo, che secondo il Vangelo di Marco, seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo; i soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo nelle loro mani.
Quel ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli ulivi.
Nella grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale “mio figlio”.
 
Discepolo degli Apostoli e martirio
 
Nel 44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in quella casa; Marco il cui vero nome era Giovanni usato per i suoi connazionali ebrei, mentre il nome Marco lo era per presentarsi nel mondo greco-romano, ascoltava i racconti di Paolo e Barnaba sulla diffusione del Vangelo ad Antiochia e quando questi vollero ritornarci, li accompagnò.
Fu con loro nel primo viaggio apostolico fino a Cipro, ma quando questi decisero di raggiungere Antiochia, attraverso una regione inospitale e paludosa sulle montagne del Tauro, Giovanni Marco rinunciò spaventato dalle difficoltà e se ne tornò a Gerusalemme.
Cinque anni dopo, nel 49, Paolo e Barnaba ritornarono a Gerusalemme per difendere i Gentili convertiti, ai quali i giudei cristiani volevano imporre la legge mosaica, per poter ricevere il battesimo.
Ancora ospitati dalla vedova Maria, rividero Marco, che desideroso di rifarsi della figuraccia, volle seguirli di nuovo ad Antiochia; quando i due prepararono un nuovo viaggio apostolico, Paolo non fidandosi, non lo volle con sé e scelse un altro discepolo, Sila e si recò in Asia Minore, mentre Barnaba si spostò a Cipro con Marco.
In seguito il giovane deve aver conquistato la fiducia degli apostoli, perché nel 60, nella sua prima lettera da Roma, Pietro salutando i cristiani dell’Asia Minore, invia anche i saluti di Marco; egli divenne anche fedele collaboratore di Paolo e non esitò di seguirlo a Roma, dove nel 61 risulta che Paolo era prigioniero in attesa di giudizio, l’apostolo parlò di lui, inviando i suoi saluti e quelli di “Marco, il nipote di Barnaba” ai Colossesi; e a Timoteo chiese nella sua seconda lettera da Roma, di raggiungerlo portando con sé Marco “perché mi sarà utile per il ministero”.
Forse Marco giunse in tempo per assistere al martirio di Paolo, ma certamente rimase nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma. Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco trascrisse, secondo la tradizione, la narrazione evangelica di Pietro, senza elaborarla o adattarla a uno schema personale, cosicché il suo Vangelo ha la scioltezza, la vivacità e anche la rudezza di un racconto popolare.
Affermatosi solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò in un primo momento il suo discepolo e segretario, ad evangelizzare l’Italia settentrionale; ad Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città e dopo averlo lasciato, s’imbarcò e fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove si addormentò e sognò un angelo che lo salutò: “Pax tibi Marce evangelista meus” e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Secondo un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria d’Egitto, qui Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo.
Nella zona di Alessandria subì il martirio, sotto l’imperatore Traiano (53-117); fu torturato, legato con funi e trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità; lacerato dalle pietre, il suo corpo era tutta una ferita sanguinante.
Dopo una notte in carcere, dove venne confortato da un angelo, Marco fu trascinato di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli “Atti di Marco” all’età di 57 anni; ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo, ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così ad alcuni cristiani, di recuperare il corpo e seppellirlo a Bucoli in una grotta; da lì nel V secolo fu traslato nella zona del Canopo.
Il Vangelo
 
Il Vangelo scritto da Marco, considerato dalla maggioranza degli studiosi come “lo stenografo” di Pietro, va posto cronologicamente tra quello di s. Matteo (scritto verso il 40) e que
llo di s. Luca (scritto verso il 62); esso fu scritto tra il 50 e il 60, nel periodo in cui Marco si trovava a Roma accanto a Pietro.
È stato così descritto: “Marco come fu collaboratore di Pietro nella predicazione del Vangelo, così ne fu pure l’interprete e il portavoce autorizzato nella stesura del medesimo e ci ha per mezzo di esso, trasmesso la catechesi del Principe degli Apostoli, tale quale egli la predicava ai primi cristiani, specialmente nella Chiesa di Roma”.
Il racconto evangelico di Marco, scritto con vivacità e scioltezza in ognuno dei sedici capitoli che lo compongono, seguono uno schema altrettanto semplice; la predicazione del Battista, il ministero di Gesù in Galilea, il cammino verso Gerusalemme e l’ingresso solenne nella città, la Passione, Morte e Resurrezione.
Tema del suo annunzio è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Momento culminante del suo Vangelo, è la professione del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui deve giungere anche il discepolo.
 
Le vicende delle sue reliquie – Patrono di Venezia
 
La chiesa costruita al Canopo di Alessandria, che custodiva le sue reliquie, fu incendiata nel 644 dagli arabi e ricostruita in seguito dai patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680), e Giovanni di Samanhud (680-689).
E in questo luogo nell’828, approdarono i due mercanti veneziani Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, che s’impadronirono delle reliquie dell’Evangelista minacciate dagli arabi, trasferendole a Venezia, dove giunsero il 31 gennaio 828, superando il controllo degli arabi, una tempesta e l’arenarsi su una secca.
Le reliquie furono accolte con grande onore dal doge Giustiniano Partecipazio, figlio e successore del primo doge delle Isole di Rialto, Agnello; e riposte provvisoriamente in una piccola cappella, luogo oggi identificato dove si trova il tesoro di San Marco.
Iniziò la costruzione di una basilica, che fu portata a termine nell’832 dal fratello Giovanni suo successore; Dante nel suo memorabile poema scrisse. “Cielo e mare vi posero mano”, ed effettivamente la Basilica di San Marco è un prodigio di marmi e d’oro al confine dell’arte.
Ma la splendida Basilica ebbe pure i suoi guai, essa andò distrutta una prima volta da un incendio nel 976, provocato dal popolo in rivolta contro il doge Candiano IV (959-976) che lì si era rifugiato insieme al figlio; in quell’occasione fu distrutto anche il vicino Palazzo Ducale.
Nel 976-978, il doge Pietro Orseolo I il Santo, ristrutturò a sue spese sia il Palazzo che la Basilica; l’attuale ‘Terza San Marco’ fu iniziata invece nel 1063, per volontà del doge Domenico I Contarini e completata nei mosaici e marmi dal doge suo successore, Domenico Selvo (1071-1084).
La Basilica fu consacrata nel 1094, quando era doge Vitale Falier; ma già nel 1071 s. Marco fu scelto come titolare della Basilica e Patrono principale della Serenissima, al posto di s. Teodoro, che fino all’XI secolo era il patrono e l’unico santo militare venerato dappertutto.
Le due colonne monolitiche poste tra il molo e la piazzetta, portano sulla sommità rispettivamente l’alato Leone di S. Marco e il santo guerriero Teodoro, che uccide un drago simile ad un coccodrillo.
La cerimonia della dedicazione e consacrazione della Basilica, avvenuta il 25 aprile 1094, fu preceduta da un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, delle quali non si conosceva più l’ubicazione.
Dopo la Messa celebrata dal vescovo, si spezzò il marmo di rivestimento di un pilastro della navata destra, a lato dell’ambone e comparve la cassetta contenente le reliquie, mentre un profumo dolcissimo si spargeva per la Basilica. Venezia restò indissolubilmente legata al suo Santo patrono, il cui simbolo di evangelista, il leone alato che artiglia un libro con la già citata scritta: “Pax tibi Marce evangelista meus”, divenne lo stemma della Serenissima, che per secoli fu posto in ogni angolo della città ed elevato in ogni luogo dove portò il suo dominio.
San Marco è patrono dei notai, degli scrivani, dei vetrai, dei pittori su vetro, degli ottici; la sua festa è il 25 aprile, data che ha fatto fiorire una quantità di detti e proverbi. 

 

Inno a San Marco
Sia eterna, Venezia mia: o immortali dimore
Della giustizia sublime, dell’onore benedetto!
Terra lucente ed eccelsa, scelta dal signore
Come perenne santuario per il suo prediletto:
Marco, santo intrepido, il nostro difensore.
Lodi a te, San Marco, patrono venerato!
Con noi nella grandezza; con noi nella tribolazione
Di questo gioioso gravoso… tu, un tempo perseguitato,
guidaci sul percorso della liberazione.
Tu che oggi dimori accanto al trono del divino
Il tuo popolo non ha mai dimenticato.
Mostra ai tuoi figli il glorioso cammino
Verso la libertà che i tiranni hanno strappato
Dai legittimi cittadini di questa nazione.
Invano gli oppressori di stirpe vilissima
calpestano i nostri diritti, godono di nostro pianto.
Sono polvere nel vento. Eterna è la Serenissima!
Eterno sei tu, o Marco, nostro amatissimo santo!
Guidaci al trionfo! Rinvigorisci la nostra Patria!
Lodi a te, San Marco, santo sereno e audace:
conciliatore, paladino dell’emancipazione.
Con noi nella giusta battaglia, come in tempo di pace…
Con noi nella rinascita e nella risurrezione.
Maria Fasolo

 

 




Adesione alla manifestazione "Family Day", 12 maggio ’07 – Roma

Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, ritiene inderogabile la propria adesione in quanto essa rappresenta una testimonianza diretta del proprio impegno a tutela e riscatto del modello veneto di famiglia, base e cardine della nostra Veneta società (Veneta Costituzione, art. 4).

Il 12 maggio è stata indetta una grande manifestazione per il sostegno alla Famiglia tradizionale, pietra fondante dell’intero impianto sociale e cardine della nostra civiltà.

Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, ritiene inderogabile la propria adesione in quanto essa rappresenta una testimonianza diretta del proprio impegno a tutela e riscatto del modello veneto di famiglia, base e cardine della nostra Veneta società (Veneta Costituzione, art. 4).
Ogni attacco diretto o indiretto alla struttura tradizionale della Famiglia rappresenta un affondo alla nostra Cultura ed alla nostra Storia: resistere all’invasore sabaudo-giacobino significa resistere strenuamente sulle barricate costituite da ciò in cui ha sempre creduto il Veneto Popolo.
La proposta di legge relativa ai cosiddetti “DICO” rappresenta l’ennesima presa per il naso dell’occupante, spacciando il riconoscimento di fatto di un “matrimonio di serie B” per una tutela dei singoli. I diritti dell’uomo non possono derogare dal diritto del bambino ad avere un padre ed una madre, ciò rientra nell’ordine naturale e questo va difeso. Un ordine naturale che  è scolpito nella nostra anima fin dal nostro concepimento, coincidente con la legge immutabile rappresentata dal Decalogo giudaico-cristiano, consacrato e reso perfetto da N. S. Gesù Cristo: ogni ribellione ad esso è un passo indietro verso il baratro della non-Civiltà, è un arretrare verso le posizioni di chi pensa d’essere forte, d’essere un martire solo perché in nome di un falso dio si fa saltare in un mercato o in un luogo di villeggiatura, come un codardo che nasconde la propria testa (e la propria coda) per non affrontare a viso aperto, guardandolo negli occhi, chi considera il proprio nemico.
Noi ci saremo a Roma, ed invitiamo tutto il Veneto Popolo a partecipare alla manifestazione perché difendendo la Famiglia si difende la nostra identità e la nostra libertà.

Venezia, 12 aprile ’07

Per il Veneto Serenissimo Governo
Andrea Paro




Auguri di Buona Pasqua a tutto il Popolo Veneto e a tutti gli amici del Veneto

Il Veneto Serenissimo Governo, augura buona Pasqua a tutti i Veneti diffusi in ogni angolo del mondo, e a tutti gli amici della nostra amatissima Patria.
Il tempo della libertà della nostra Terra si avvicina sempre più: con la nostra determinazione di popolo, con la capacità di essere protagonisti del nostro destino e con la guida dei nostri Santi e Beati Protettori sapremo realizzare gli obbiettivi più ardui.

Risurrezione di Gesù (Marco 16, 1-10)
1 Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. 2 Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. 3 Esse dicevano tra loro: "Chi ci rotolerà via il masso dall`ingresso del sepolcro?". 4 Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. 5 Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d`una veste bianca, ed ebbero paura. 6 Ma egli disse loro: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E` risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l`avevano deposto. 7 Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto". 8 Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto". Ma egli disse loro: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E` risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l`avevano deposto. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d`una veste bianca, ed ebbero paura. Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Esse dicevano tra loro: "Chi ci rotolerà via il masso dall`ingresso del sepolcro?". Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole.

a Padre Marco d’Aviano
Patrono del Veneto Serenissimo Governo

Beato Marco
Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, tradizioni e cultura della Veneta Serenissima Repubblica, in questo momento di grave pericolo per la nostra Civiltà, Cristianità, la nostra Storia e Cultura, memori del fatto che Tu con la Tua preghiera e il Tuo esempio salvasti l’Europa Cristiana e la tua Serenissima Patria dal flagello ottomano
guidaci
per impedire che le basiliche di San Pietro, di San Marco e gli altri luoghi a noi sacri siano trasformati in “scuderie”.
Il Veneto Serenissimo Governo Ti affida la propria mente, la propria energia, la propria vita, per la difesa degli stessi valori che Tu salvasti a Vienna, a Buda, a Belgrado.
Beato Marco proteggici e guidaci lungo la difficile strada.
Intercedi e invoca per noi, indegni, l’aiuto di Dio, della Vergine Maria, di San Gabriele Arcangelo.
“Io credo, io credo fermamente, Dio mio, io credo fermamente, fermamente”.




DICHIARAZIONE COMUNE TRA IL SANTO PADRE BENEDETTO XVI E IL PATRIARCA BARTOLOMEO I

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La Chiesa trevigiana nel 1800: periodo napoleonico.

La maggior parte del clero e del popolo non era soddisfatta dell’amministrazione francese, anzi si era sentita offesa e danneggiata sotto l’aspetto religioso.

 

Il 6 novembre 1805 i francesi rioccupano Treviso; la città è unita al costituito regno italico, governato dai francesi stessi (1805-1813).
La diocesi contava 10480 abitanti in città e 181336 nel resto del territorio.
Il ministero del culto istituito da Napoleone decise una riorganizzazione del territorio diocesano in modo da farlo coincidere con i confini civili (la provincia nasce adesso); inoltre venne nominato un delegato con lo scopo di vigilare sull’amministrazione di chiese ed altre istituzioni ecclesiastiche (confraternite, corporazioni). L’atteggiamento complessivo fu ostile alla Chiesa: vennero soppressi molti conventi e monasteri, le opere d’arte vendute e gli edifici trasformati in scuole, caserme ed ospedali. Venne concessa una pensione a frati e suore allontanati.
Un importante cambiamento fu l’istituzione, il 15/09/1807, della fabbriceria (consilium fabricae): un organismo composto da tre a cinque membri, scelti tra le persone più in vista nel paese, con lo scopo di amministrare i beni della parrocchia.
Fu introdotto, come in Francia, il codice civile (istituti del matrimonio civile e del divorzio) e fu imposto un nuovo catechismo (Catechismo ad uso di tutte le chiese del regno d’Italia); decisioni contrastanti con la fede ecclesiale.
Ad esempio nel commento al IV comandamento ("Onora il padre e la madre") si ricordava il dovere di sottomissione allo stato e all’imperatore.
In questo periodo il vescovo è Bernardino Marin, eletto nel 1788. Cercò di accettare la nuova situazione e di garantire un minimo di tranquillità alla Chiesa: nel 1811 fu uno dei primi vescovi italiani a sottoscrivere la fedeltà e la devozione all’imperatore (!).
I suoi preti vedevano le cose molto diversamente:
"Maledetto Bonaparte ello e le so scarpe, maledetto ello e li so scarpini e tutti li giaccopini".
La maggior parte del clero e del popolo non era soddisfatta dell’amministrazione francese, anzi si era sentita offesa e danneggiata sotto l’aspetto religioso.
Scrive l’Agostini: "Napoleone con i suoi interventi distruttivi e costruttivi modifica in maniera irreversibile la struttura della Chiesa. Il parroco viene inquadrato, sia pur con larghi margini di autonomia, nella pubblica amministrazione, con compiti insieme civili e spirituali."

 

Andrea Bonesso
Il nome dello storico è revisionista